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Il gatto come metafora

di Enrico DebandiCopertina: Contrapposizione di energie (particolare), granito rosso di Svezia, 64x44x38h cm


In un incendio, tra un Rembrandt e un gatto, io salverei il gatto.

Alberto Giacometti

Misterioso e indipendente, delicato e suscettibile, duplice e ambiguo, il gatto occupa, tra gli animali domestici, un posto particolare per bellezza, eleganza e superiorità.
Questa «Minima Tigre da salotto», come la definì Pablo Neruda, rappresenta nella cultura moderna l’individualità e l’anarchia che contraddistinguono la natura istintiva dell’uomo, andando a simboleggiare lo spirito libero e irrequieto dei poeti e degli artisti, a partire dal Romanticismo fino ai giorni nostri. 

Nella produzione di Mario Giansone il gatto è uno dei soggetti più frequentemente affrontati e interpretati a partire già dal 1960, quando l’artista partecipa con due sculture, Gatto Rosso e Gatto Nero, alla mostra della Società Promotrice di Belle Arti a Torino. In assoluto si può affermare che i gatti di Giansone sono le sculture che il pubblico e i collezionisti hanno maggiormente e costantemente apprezzato e ricercato lungo tutto l’arco della sua carriera, tanto da occupare una parte molto significativa del suo catalogo. 

Le ragioni di questo successo non giustificano però la grande varietà di opere che analizzano il medesimo soggetto in infiniti atteggiamenti e posizioni mai uguali tra loro, poiché come artista non era mai stato incline ad adattarsi alle richieste del mondo esterno, specialmente se queste richiedevano un tradimento della propria natura. Talvolta l’essere così fedele ai propri principi e il costante sfuggire alle costrizioni lo portarono a respingere opportunità che chiunque altro avrebbe accolto con entusiasmo e riconoscenza, come ad esempio il rifiuto a partecipare alla Biennale di Venezia del 1964 o il diniego a Peggy Guggenheim di una sua scultura in dono. 

Gatto? «Principio genetico conseguenza di una decisione» (particolare), Granito nero assoluto e ferro, 1982
Giansone, come un gatto, non ammise mai padroni o imposizioni, così come la sua arte e le profonde istanze che la generavano non accettarono mai alcuna regola.

Le similitudini caratteriali tra il principe degli animali domestici e l’artista sono talmente singolari da indurci a pensare che il gatto simboleggi una sorta di metafora di Giansone stesso e del suo subconscio, rappresentandone, in una visione sciamanica della sua opera, l’animale guida ovvero l’alter ego. 

Al di là di questi aspetti esteriori, la sua visione poetica sa guardare attraverso le tenebre proprio come fa un felino, trovandosi a suo agio sia nella luce della coscienza che nelle oscure profondità dell’inconscio. 

Il fascino sottile che i gatti di Giansone emanano attraverso il contrapporsi di pieni e vuoti generati dal rincorrersi continuo di ellissi e curve li rende indiscutibilmente i più seduttivi tra i vari soggetti che l’artista ha realizzato nel corso degli anni, riuscendo nelle sue sculture a tradurre quella sensazione di leggerezza ed eleganza fluttuante che un gatto in carne e ossa trasmette anche quando sta immobile. Questa capacità evocativa è peculiare nella sua immediatezza ed è ciò che rende speciali queste opere, dove la pietra e il marmo sono plasmati e levigati fino al punto di ingannare lo spettatore su quale sia il proprio peso specifico. 

Non sappiamo quanto realmente l’artista amasse rappresentare i gatti, ma certo attraverso le sue sculture questo felino ha ritrovato l’interprete più alto della sua natura extraterrestre e divina, in grado di restituirne la solenne maestosità e perturbante bellezza come soltanto l’arte egizia nelle raffigurazioni della dea Bastet, la dea della gioia con il corpo di donna e la testa di gatta, era riuscita a raggiungere.

Mario Giansone
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